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[•REC(ensione)] Le Quattro Casalinghe di Tokyo (1997)

E ufficialmente è iniziato il 2023! Anno nuovo, vita nuova, esperienze nuove e, perché no, post nuovi. Voglio infatti cimentarmi in qualcosa di diverso mai apparso su questo blog: la recensione di un libro (perché sì, tra le varie cose mi piace anche leggere). Di recente ho finitoアウト(Out, fuori), da noi pubblicato come Le quattro casalinghe di Tokyo, un thriller dell’autrice giapponese Natsuo Kirino datato 1997 (quindi può essere a pieno diritto presentato su questo blog) e giudicato miglior romanzo al 51° Premio agli Scrittori Giallo del Giappone (Mystery Writers of Japan Award, in giapponese 日本推理作家協会賞 Nihon Suiri Sakka Kyōkai Shō). Sono circa 650 pagine non troppo intense a livello di avvenimenti (ma piene di sfumature). La versione da me letta è stata la nuova edizione edita da BEAT (ISBN 978-8865596692), traduzione di Lydia Origlia. Io provo a recensirlo; che dite: ne sarò in grado, sarà di vostro gradimento? Questo me lo direte voi dopo aver letto l’articolo (sono ben accetti commenti e consigli, anche negativi). Pronti? Tazza di Orzobimbo, Urrà Saiwa nella mano e andiamo con calma e ordine a leggere questo romanzo!

La trama

Senza svelarvi nulla (evitando di farla diventare una sinossi), dirò solo ciò che accade nelle prime 50 pagine. La storia ruota attorno a 4 casalinghe (come dice il titolo) che, per andare avanti nelle loro vita quasi distrutte, alienanti e logoranti, fanno il turno di notte in uno stabilimento alimentare dandosi manforte. Queste 4 donne sono, ognuna a modo loro, segnate e infelici della loro quotidianità: Masako con una famiglia a pezzi, Kuniko vanitosa insoddisfatta e squattrinata, l’anziana Yoshie che arranca a fine mese e la più giovane Yayoi. Quest’ultima, stanca della propria condizione di moglie, una sera strangola il marito davanti casa rendendo le altre, ognuna per i propri motivi, complici nell’occultamento del cadavere.

Lo stile

Partiamo dal presupposto che è un libro giapponese quindi ha un ritmo diverso da quelli occidentali: molta piscologia, minimalismo (ma allo stesso tempo grandiosità di quei pochi dettagli presenti), dualismo essere-apparire, triplice spazio del noi, gli altri e i legami stretti. Non bisogna però pensare che sia un libro infinito basato su discorsi filosofici e teorici del nulla (dopotutto è pur sempre un romanzo thriller). Sia chiaro, oggettivamente il libro e la narrazione sono lenti, non accadono miliardi di cose (ma comunque un buon numero di eventi) e c’è buono spazio per le riflessioni saggio-psicologiche a cui accennavo, sia dei personaggi sia sulla società. Questi pensieri, però, non sono presentati in maniera scolastica ma traspaiono (spesso indirettamente) dai pensieri, dalle frasi e dall’ambiente che circonda ogni personaggio . Tuttavia riesce ad essere allo stesso tempo molto diretto e tagliente, quindi non si percepisce la lentezza: in tutta onestà, anzi, sembra scorrevole. Ciascun personaggio ha un suo peculiare stile (ritmico, lessicale, compositivo); queste differenze sono leggere e sottili e permangono sia da personaggio a personaggio ma anche tra ciò che è scritto e il personaggio in sé (ad esempio personaggio istintivo descritto con parole e stile lento e riflessivo facendo leva sui pensieri) creando un contrasto non forte (quasi minimale, molto giapponese ecco) ma che funziona. Ogni personaggio mi è sembrato unidirezionale ma in senso positivo perché è voluto: è come se ciascuno rappresentasse (senza steriotipare) una singola virtù e un singolo difetto, come se fossero tutti ossessionati da una cosa sola (e in effetti in parte lo sono). E nell’insieme con tutti i personaggi il libro funziona anche bene.

I temi e l’infelice scelta del titolo

Quel che emerge e risulta molto ben evidente (e, ripeto, è interessante come siano così chiari i temi trattati quando sono scritti in maniera così indiretta) è una pesante critica alla visione e al ruolo della donna nella società e nel lavoro; una critica al sistema lavorativo giapponese, al denaro (il suo potere, la sua importanza, come trasforma e acceca). Ma c’è anche una chiara presenza di temi come l’indifferenza, l’amore, l’ossessione (spesso inteso come la spasmodica ricerca di un desiderio che però non si riesce a realizzare), la solitudine, l’incomprensione, l’inesorabilità, l’isolamento e l’allontanamento (sociale e non, fisico e mentale). Quello che accomuna tutti questi elementi è l’essere vicini ma distanti, esserci dentro ma allo stesso tempo non riuscire a vivere ed essere estranei alla propria vita, come se la si vivesse da… Fuori. Esatto, Fuori, come il titolo originale del libro (che ricordo essere nient’altro che la traslitterazione in giapponese della parola inglese out, “fuori” appunto). E nella lingua di Londra (così come nella nostra), out, può voler dire molte cose: fuori, ma è anche negazione, senza, privo, lontano (fuori servizio, fuori di testa, fuori discussione…). Ecco così che nell’originale il titolo racchiude efficacemente in sé l’essenza del testo (in maniera, mi ripeterò, molto giapponese) mentre noi ci siamo complicati la vita andando a creare un titolo fatto più per attirare ed essere esplicativo del contenuto (per quanto, dopo un po’, ci si accorda come anche l’originale lo fosse e in maniera molto più efficiente), perdendo però tutte quelle sfumature presenti poi nel testo. Scelta discutibile? Ovviamente. Scelta azzeccata? In un certo senso sì, perché ha funzionato e il libro ha venduto probabilmente anche grazie alla curiosità generata dal nuovo titolo italiano. Inoltre, un altro punto cardine del romanzo è l’evasione e il riscatto, la fuga dalla propria condizione in cerca di un cambiamento, cosa che il titolo originale riusciva molto bene ad esprimere. Insomma i temi sono allo stesso momento tanti ma pochi, dettagliati ma anche superficiali, vari ma omogenei (perché tutti correlati e riconducibili ad alcuni principali, come se fossero uno la sfumatura o un dettaglio dell’altro, diverse sfaccettature simili ma allo stesso tempo differenti quanto basta).

Conclusione (sul) finale (senza rovinarvelo)

Per concludere questa prima recensione (e anche il primo articolo dell’anno), cosa c’è di meglio che parlare del finale di questo romanzo (ovviamente evitando di rivelare come si evolve la storia)? Beh, il libro si conclude in maniera un po’ vuota ammetto, che tuttavia ben si confà all’ineluttabilità narrata nel corso delle pagine. Detto ciò, il finale risulta allo stesso tempo fuori luogo e improbabile (pur essendo, ad un certo punto, logico e ovvio), nonostante (ripeto) è assolutamente calzante. È un finale un po’ piatto (forse troppo in confronto ai toni del libro), banale e non così ben costruito. In parole povere lo ritengo un finale tutto sommato sufficiente, forse anche discreto considerando vari aspetti (non penso si meriti un distinto o un buono).

Dopo tutti questi contrasti e ossimori, quello che posso dire chiaramente e univocamente è che, terra terra, il libro mi è piaciuto. Lettura piacevole, interessante, che è riuscita a trasmettere qualcosa facendomi capire i punti di vista dei personaggi (senza per forza farmici immedesimare). Lo consiglio? Sì. A chi? Agli amanti dei thriller piscologici, delle storie crude, della cultura giapponese (e del Giappone in generale), dei romanzi con molta psicologia (ma non privi d’azione). Naturalmente, visto quello scritto finora, non è sicuramente un libro adatto a chi cerca un libro ricco d’azione dai ritmi serrati né a chi cerca un classico thriller poliziesco (le parti relative alle indagini sono praticamente ridotte all’osso e contribuiscono poco a portare avanti la storia, dando essenzialmente spessore e contesto alla trama in maniera comunque necessaria e non accessoria). Sarà l’ultimo libro di Natsuo Kirino che leggerò? Non penso, anzi, probabilmente sarà solo il primo di molti.

Che dire di più? Cosa ne penso io lo sapete ma voi? Lo conoscevate già? Letto, venduto, odiato, mai finito, lo sapete a memoria, recensione perfetta, recensione migliorabile, meglio gli articoli sul Blockbuster, vai a lavorare anziché scrivere certi post che non sei capace? Dite la vostra nei commenti. Io vi lascio che adesso apre la saracinesca dell’edicola e devo comprare Tiramolla. Al prossimo contenuto, ciauz!

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