In fatto di scarpe ognuno ha la propria da dire, soprattutto se si tirano in ballo modelli storici e indiscussi che hanno segnato una generazione. C’è a chi piacciono basse, chi le preferisce monocromatiche, chi le allaccia fino al polpaccio, chi adora lo stile vissuto e consumato. Tuttavia, quando si parla di scarpe da ginnastica (o da tennis come ogni tanto si usa ancora dire) quello che viene spesso in mente è una scarpa alta, comoda e morbida per proteggere le articolazioni e per muoversi senza pensieri… Un po’ come le scarpe pallacanestro (o basketball per fare gli americani). E se dici pallacanestro non puoi non citare i grandi cestisti del secolo scorso: Larry Bird, Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar, Shaquille O’Neal, Kobe Bryant e Michael Jordan. Avete sicuramente capito dove voglio andare a parare: anni ’80, scarpe da basket, sogno americano… Nike. Sì ma non un paio di Nike qualsiasi: oggi parliamo della storia delle mitiche e iconiche Nike Air Jordan;, LE sneakers per eccellenza, coloro le quali hanno praticamente dato origine al fenomeno (e alla cultura) delle scarpe da ginnastica come stile e modo d’essere. Quindi non perdiamoci in chiacchiere, lacci all’occhiello, linguetta all’infuori, pallone sotto braccio e andiamo, come sempre, con ordine e calma a raccontare la storia (e qualche curiosità) su questo intramontabile paio che lasciò un segno indelebile nel mondo della moda pedestre (l’articolo è leggermente più lungo della mia media ma è anche più ricco del solito di immagini).

In principio era la gomma
La storia della pallacanestro e quella delle sneakers (dall’inglese to sneak, “muoversi silenziosamente”, termine che dal 1887, secondo il Boston Journal, si usa per riferisi alle scarpe da ginnastica con suola morbida, molto silenziose rispetto alle classiche scarpe con tacco in legno) vanno di pari passo. Inventato nel 1891 dal professore di educazione fisica e medico James Naismith (a cui si deve anche l’invenzione del casco usato nel football americano), lo sport della pallacanestro (così chiamato perché in origine venne usato un basket, un canestro/cesto di vimini per la raccolta delle pesche) aveva solo 13 regole al tempo, delle quali nessuna relativa all’abbigliamento. L’anno seguente, il dottore decise di andare da un’azienda nota per la produzione di prodotti in gomma, la Colchester Rubber Company, chiedendo di disegnare e progettare una scarpa con suola in gomma adatta al suo nuovo sport che garantisse un buon attrito sul parquet delle palestre universitarie: nacque così la prima scarpa da basket al mondo. Una scarpa così importante che sarebbe stata, 16 anni dopo, il modello di riferimento per un’altra importante calzatura sportiva: le Converse Non-Skids (che dal 1921 avrebbero assunto nuova forma sotto il nome di Chuck Taylor All-Stars). Giusto per far capire: stiamo parlando di un modello che è stato scarpa ufficiale della pallacanestro olimpica dal 1936 (anno di introduzione della disciplina in gara) al 1968. Negli anni seguenti Converse perse il suo monopolio delle calzature sportive, soprattutto in seguito all’ingresso sul mercato di marche e prodotti concorrenti. Tra le altre, c’era un’azienda fondata da poco (1964), che dal 1971 produceva scarpe da atletica a proprio marchio: Nike. Un nome, una garanzia (quello dell’antica dea graca della vittoria Nike, spesso celebrata durante le competizioni sportive) che nel 1972 lancia le sue prime scarpe pensate per la pallacanestro, le Bruin (sì, insomma, la versione alta di quelle che indossa Michael J. Fox nel primo Ritorno al futuro), seguite l’anno successivo da un altro paio di grande successo, ovvero le Blazer (indossate, tra gli altri, dal cestista George Gervin). Gli anni passano e Nike decide di puntare su una nuova tecnologia a base di cuscinetti ad aria pressurizzata, di modo da attutire l’impatto tra piede e suolo e garantire una certa elasticità e fontonuit del movimento: nacque così, nel 1982, la linea Air, il cui capostipite è rappresentato dalle Air Force 1, disegnate da Bruce Kilgore, caratterizzate dalla presenza di cuscinetti interni lungo tutta la lunghezza della suola e in vendita per circa 90 $ al paio (circa 235 € odierni). Due anni dopo, il modello venne temporaneamente dismesso in favore delle “tallonate” Air Train (e la loro versione “premium” in pelle rinforzata, ovvero le Air Ship). Tratti salienti: il prezzo (mediante 30-40 $ per le Train, 50-75 $ per le Ship ovvero rispettivamente circa 115 e 155 € nel 2023) e la presenza dei cuscinetti limitata al solo tallone.



Una scarpa da sanzione
Contemporaneamente a ciò che stava accadendo nel quartier generale di Portland, un giovane studente in geografia culturale di Wilmington (ma originario di Brooklyn) iniziava a farsi notare per le sue doti sportive nei Tar Heel, la squadra dell’università di Chapel Hill, in North Carolina: il suo nome era Michael Jordan. Il ragazzo era bravo (dannatamente bravo), al punto da condurre nel 1982 la squadra alla vittoria del campionato nazionale atletico studentesco. Alle selezioni del 1984 venne scelto dai Chicago Bulls per giocare nell’NBA. Cambio di categoria e, dunque, anche cambio di scarpe per MJ, che da sempre aveva utilizzato Converse: la scelta ricadde su casa Nike grazie alla lungimiranza del suo agente personale David Falk, dell’esperto di branding sportivo Sonny Vacarro e a un contratto da 500,000$. L’allora dirigente della neonata linea produttiva da basket di Nike, Brad Johnson, il supervisore del merchandising Ron Hill e il reparto marketing pensarono che la vera svolta del loro ingresso nel mercato della pallacanestro (iniziato, ricordate, nel 1971 ma consolidato solo con la tecnologia Air nell’82) fosse rafforzare il binomio marchio-atleta portando in casa un giocatore di cui Nike avrebbe dovuto essere il fornitore esclusivo di scarpe (signature athlete in inglese). Col campionato 84/85 alle porte, nell’estate del 1984 l’idea fu quella di utilizzare una scarpa che sarebbe dovuta essere il connubio tra le origini del marchio e la nuova tecnologia Air: le neonate Air Ship, pensate da Peter Moore e Bruce Kilgore come evoluzione delle Air Force 1 (soprattutto in risposta alle lamentele dei cestisti che preferivano una sensazione più “terrena” e morbida ma senza rinunciare alla comodità data dai cuscinetti ad aria). Le scarpe sarebbero dovute uscire in autunno per il pubblico ma i prospetti di vendita non erano allettanti e, dunque, il “confinamento sportivo” sembrava la scelta ideale. La situazione, però, prese un’altra piega: la sfida divenne progettare (e, visti i tempi ristretti, adattare) un modello di scarpe alle necessità di Jordan che, considerando le cifre in gioco, preferì un modello totalmente personalizzato. Il ragazzo saltava, eccome se saltava (1 metro di altezza… E contante che non è salto in alto ma pallacanestro), quindi si decise per una scarpa interamente ammortizzata abbassando il collare ad altezza caviglia per evitare stress eccessivi sui tendini e garantire maggiore flessibilità. Il modello non aveva ancora un nome (dovendo rimanere una semplice esclusiva del giocatore, PE o player exclusive in inglese) e, naturalmente, non sarebbe stato pronto per l’ottobre di quell’anno. Michael però voleva comunque un paio di scarpe personalizzate: fu così che il 18 ottobre 1984, durante una partita d’esibizione pre-stagionale contro i New York Knicks, Jordan indossò le sue nuove Nike “Air Jordan” Air Ship nere e rosse. Tuttavia, nei campionati NBA vige una regola per cui un giocatore deve indossare scarpe i cui colori combacino con quelle dell’uniforme e delle scarpe usate dai compagni di squadra. L’infrazione venne notata (ma non ancora ufficialmente annotata né multata) e David Stern, allora commissario dell’associazione, fece una telefonata ai piani alti di Nike dicendo che se la cosa si fosse ripetuta in una partita ufficiale classificata, Jordan sarebbe stato soggetto a 1.000 $ di multa. La risposta di Rob Strasser, esecutivo di Nike, fu “noi vi stacchiamo un assegno da 82.000 $ perché le indosserà per tutta la stagione“. Stern, però, precisò che non sarebbero stati 1.000 $ a partita: alla seconda infrazione la multa sarebbe salita a 5.000$, alla terza a 10.000 $ e alla quarta ci sarebbe stata la sospensione di Michael dal campionato. Fu così che il 1 novembre 1984 Jordan indossò nuovamente le sue Air Ship personalizzate, sta volta, però, di color bianco e rosso.




La dea alata della vittoria
Il 30 novembre, nella partita contro i Clippers, Michael viene avvistato con ai piedi un paio di Air Train bianche mentre qualche giorno prima, il 17, indossa (secondo alcuni) già una prima versione delle sue vere scarpe. Jordan è ormai un fenomeno, una delle nuove leve più chiaccherate; la storia delle scarpe vietate, vista dai giornali come sfida verso l’NBA, era sulla bocca di tutti così la sua abilità “in aria”. E la fama e la nomea fu tale che l’anno successivo, a seguito anche della pubblicazione ufficiale del richiamo di Jordan per aver indossato scarpe dal colore inopportuno, Nike decise di mettere in commercio nel marzo del 1985 le scarpe del gigante con le ali: le Air Jordan 1.

Il reparto marketing sguazza nella bambagia e cuce una storia su misura proponendo una pubblicità televisiva in cui si diceva “il 15 settembre 1984 Nike creò una scarpa da basket rivoluzionaria. Il 18 ottobre l’NBA le mise fuori gioco. Fortunatamente l’NBA non può impedirti di indossarle. Air Jordan, da Nike“. come per aumentare la provocazione e cavalcare la cresta dell’onda, Jordan indossò le sue nuove Air Jordan 1 High (come sono note oggi) nere e rosse durante lo Slam Dunk Contest del 1985, assieme a Darrell Griffith e Larry Nance muniti di Air Ship bianche e viola (gli Slam Dunk sono, per chi non lo sapesse, gare di schiacciate tra i migliori cestisti). Inutile dirlo: le scarpe sono un successo, sia sul campo che nei negozi. Disponibili in diverse colorazioni (inizialmente solo la banned nera e rossa, con una scelta ampliata a 10 colorazioni verso settembre), le scarpe e le loro varie iterazioni successive, riscossero un buon seguito negli anni al punto da spingere Nike rimettere in produzione lo stesso modello a metà anni 90, di pari passo con lo scoppio definitivo del fenomeno collezionismo e scarpe retrò. Queste erano l’effettiva evoluzione completa delle Air Ship “da partita” di Jordan (che già presentavano alcune modifiche rispetto alle Air Ship in vendita al pubblico quali la suola più spessa e l’altezza rivista) e non vi era alcuna differenza fondamentale costruttiva e di design rispetto al modello usato in campionato. Caratteristica peculiare è la presenza del logo Air racchiuso in una palla da basket alata, come per chiudere il cerchio tra la tecnologia presente nelle scarpe, l’abilità di saltatore di Michael e il marchio stesso Nike. Il tutto fruttò al signorino 55 milioni di dollari (derivanti dalle vendite) nel solo 1985. MJ utilizzò il modello ininterrottamente dal 1984/5 fino al 1986, anno in cui passò alla variante dunk appositamente studiata per le schiacciate (da cui derivano le attuali Nike Dunk), alle Air Jordan 2 (ispirate alle linee di Adidas) e a quelle che vengono definite 1.5, ovvero una sorta di via di mezzo tra i due modelli principali.


Il resto è, come si suol dire, storia. La linea Jordan, nonostante i dubbi iniziali fossero tanti, si è rivelata con gli anni qualcosa di più di un marchio di punta diventando un vero e proprio fenomeno di culto. Un amore (quello che lega gli amanti delle sneakers alle Jordan e, più in generale, alla cultura pallacanestro e skateboard) che non vacilla e non dà minimo segno di cedimento (ad oggi, 2023) tant’è che Nike, negli anni, ha ciclicamente riproposto le originali Air Jordan 1 (talvolta revisionate) assieme ai suoi modelli sempreverdi del passato. Jordan è diventato simbolo di pregio e collezionismo, grazie alle varie colorazioni e al numero di pezzi (spesso limitato). I prezzi, soprattutto per l’usato, sono elevati: mentre per un paio di Air Jordan 1 High Original del 2015 nei classici colori Chicago ve la cavate mediamente con un massimo di 2/3.000 € (in base al numero), per poter avere in casa un paio originale del 1985 dovete prepararvi a sborsare cifre 12 volte superiori (560.000 $ in caso nel 2020 aveste voluto comprare uno dei paia indossati e firmati da sua ariezza). Che vi piacciano o meno, è innegabile come questo paio abbia fatto la storia delle scarpe sportive e abbia portato Nike a diventare l’azienda che è adesso. Io ora scappo, ho un concerto dei Duran Duran su MTV da registrare. Al prossimo articolo, ciauz!