Sonic Badge – una truffa tutta italiana

Ormai chi legge questo blog lo sa: adori le pubblicità e non lo neghi. È una cosa che hai adorato fin da piccolo, al punto che quando riguardavi le vecchie videocassette che ti registrava nonna con i cartoni di Italia 1 non saltavi mai le sequenze di spot che c’erano come intermezzo dei film (ricordi vividamente gli omini del CIF detersivo per pavimenti durante Piccola Peste, il quizzone del detersivo Lanza tra gli episodi di Tom e Jerry su Rai 2 e degli orsi animati con poco sforzo dopo Baby Birba che camminano recitando Prisco, scarpe uomo, donna, bambino e… Orso!). Ed è così che negli anni recuperi nastri di ogni tipo, sia dei tuoi che ai mercatini, originali o meno, a volte proprio per cercare spezzoni di una TV che ormai non c’è più. Proprio in alcuni di questi pezzi di storia, tra una puntata di Non è la Rai, Festivalbar ’92 e Stasera mi butto ti trovi davanti, totalmente inaspettato, Jerry Calà che ti informa della fantastica operazione a premi di SEGA dicendoti che ti basta soltanto una spilla e un pizzico di fortuna per vincere uno dei meravigliosi premi. Come dici, proprio non ti ricordi di questi minuti iconici dei palinsesti italiani? Oppure ne hai sempre desiderato uno e sei sempre stato curioso di capire se fosse tutto vero e futuristico come nella pubblicità (risposta: no)? Allora andiamo con ordine e calma e come un moderno (…) incrocio tra Indiana Jones e l’ispettore Colombo andiamo ad esplorare questo mistero tutto italiano.

Ecco qui una vestione estesa della pubblicità. La sequenza incriminata arriva dopo una quarantina di secondi (la spiegazione del concorso) e verso gli ultimi 30 secondi (la sequenza vincente).

La guerra mediatica delle console

L’operazione a premi è targata 1992 ma torniamo indietro di un anno. È il 1991, la Rai decide di prolungare i propri palinsesti fino a tarda notte (complici i risultati auditel, oltre 2 milioni di spettatori fino alle 2 di notte), Jovanotti conclude l’esperienza come testimonial di Nintendo e SEGA si accaparra alcuni dei calciatori più popolari del periodo (Walter Zenga, Lentini e Roberto Mancini vista l’enorme libreria sportiva dell’azienda e l’imminenza dei mondiali di calcio) che insieme all’ex gatto Jerry Calà danno all’azienda un’immagine memorabile com frasi e immagini che rimarranno stampate nella testa (qualcuno ha detto “pistola light phaser“?). A gennaio dell’anno seguente la Russia avrebbe riconosciuto pubblicamente e ufficialmente l’indipendenza dall’URRS, si avvicinano le olimpiadi invernali di Albertville, i Chicago Bulls trionfano sui Lakers (vittoria che si ripeterà nella stagione successiva contro i Portland Trail Blazers, due finali che rimangono tra le più memorabili tra le partite giocate da Michael Jordan e le sue scarpe) e al cinema escono capolavori come Il silenzio degli innocenti e ottimi film per famiglie come Hook. La nipponica del porcospino blu è distribuita in Italia dalla Giochi Preziosi (mentre GiG e Mattel si occupano di importare il super Mario anche se, ironia della sorte, i famosissimi portatili Game & Watch di Nintendo, da noi noti anche col nomignolo di scacciapensieri, vennero distributi proprio da Giochi Preziosi). Il Super Nintendo sarebbe arrivato nel bel paese solo nel 1993, la distribuzione del Master System passa dalla NBC Italia alla G.P. mentre il Mega Drive iniziò lentamente a circolare a inizio decennio (dapprima nella catena proprietaria Giocheria per poi approdare nel ’91 anche agli altri negozi). Nuova console, nuovi slogan: a Enrico Preziosi viene in mente di far focalizzare l’attenzione dei consumatori su chi è che si occupi ufficialmente di portare da noi la nuova meraviglia a 16 bit di SEGA. Nasce così il famosissimo “ocio però, è Giochi Preziosi” così da scoraggiare la vendita di videogiochi per importazione parallela da altre aziende. Le pubblicità funzionano, e anche parecchio, al punto che nei primi anni la portatile della grande S (il Game Gear, ottima console ma con un consumo spropositato di batterie) supera le vendite del GameBoy (tranquilli, è solo una situazione temporanea). Se Nintendo propone una campagna marketing minimalista basata su titoli conosciuti e sulla nomea che si era fatta nel decennio precedente, la rivale decide di giocare la carta dei numeri buttando in faccia alla gente una libreria da oltre 100 giochi e periferiche per tutti i gusti (tra cui la pistola per il buon vecchio Master System II, lettore CD per Mega Drive, il tuner TV per Game Gear) mandate in onda a ripetizione nei palinsesti di tutte le reti. E siccome melius abundare, venne stipulato anche un accordo con la produzione di USA Today in onda su Odeon per focalizzarsi sulla nuova macchina da gioco, visto il cambio del programma verso la trattazione di giochi per home computer. Complice anche il divieto in quegli anni della pubblicità comparativa (quindi niente americanate del calibro di “SEGA does what Nintendon’t“, ovvero “SEGA riesce a fare quel che Nintendo non fa“), fu così che, mentre le pubblicità di Mattel e GiG andavano sul liscio appoggiandosi a narrazioni tutto sommato lineari e comprensibili a cura di aziende come Studio Mark, l’azienda di giocattoli di Cogliate puntò su contenuti meno convenzionali, per certi aspetti meno curati, ma sicuramente di impatto ed effetto (e le vendite parlano, visto che l’Italia fu uno dei mercati più floridi per l’azienda di Shinagawa, con il Master System che nel 1990 superò le vendite del NES) prodotti dalle fucine della vicina Diaframma, letteralmente confinante con l’agenzia pubblicitaria della concorrenza. Il pubblicitario Giuliano Doccioli, che all’epoca ebbe modo di seguire dall’interno la comunicazione di GiG e Giochi Preziosi, ricorda:

Inizialmente gli spot di Giochi Preziosi entrarono in TV riempiendo spazi marginali, poi cominciarono a scalare posizioni e per questo, prima dall’ufficio di GiG, poi da Leader e Studio Mark, a essere studiati, smontati, visti e rivisti alla ricerca di della ricetta segreta. Questi spot erano, tecnicamente parlando, spiazzanti. Il più delle volte senza nessuna traccia di storia, brevi sequenze di gioco in primo piano, montate e rimontate più e più volte, in modo bizzarro, sempre accompagnati da un jingle ipnotico che orecchiava in modo furbo dei motivi di successo.

I rapporti tra SEGA e l’Italia poi si fecero più intensi anche negli anni seguenti quando, dopo che nel 1993 i cabinati da sala giochi di mamma Sonic passarono nelle mani della sammarinese Tecnoplay, ci fu un accordo durante la pianificazione dei seguiti di House of the Dead e Sega Rally che portò alla scelta di alcuni luoghi italiani da includere nei due giochi (tra cui Firenze, Venezia e Bologna). Tutto alla grande insomma, al punto che Preziosi fonda una propria agenzia pubblicitaria per fare le cose in casa, la Winter Video. E allora perché non aggiungerci anche una bella campagna a premi per aumentare ulteriormente le vendite?

Una spilla agli ultrasonic

Le prime avvisaglie di promozioni curiose si ebbero già nel 1990, quando insieme all’acquisto di World Soccer per Master System, Giochi Preziosi decise di regalare un pallone di cuoio, cavalcando l’onda dei già citati mondiali di calcio che proprio quell’anno si sarebbero svolti nel nostro stivale. L’azienda alzò il tiro (gioco di parole azzeccatissimo) due anni dopo, mettendo in palio la portatile Game Gear e diverse cassette di gioco tramite un accordo con il programma Domenica Sprint in onda su Rai 2: compilando una cartolina con il nome del calciatore che aveva segnato il gol più bello della settimana, si sarebbe potuto partecipare a un’estrazione a premi, valida per tutta la stagione 92-93 del campionato di calcio. A quanto pare, però, tutto questo non era abbastanza e nell’ottobre di quell’anno venne lanciata quella che è ricordata come la più grande e fumosa (o truffaldina) operazione commerciale legata ai videogiochi in Italia: sto parlando della spilla “magica” raffigurante il porcospino blu, ovvero la Sonic Badge.

La storia è molto semplice: con l’acquisto di una console SEGA (o tre cartucce, ovvero spendendo tra le 250 e le 300 mila lire) si veniva omaggiati di una busto di Sonic di plastica con tanto di moschettone, led sugli occhi e interruttore. Durante gli spot pubblicitari di SEGA (in onda nei contenitori di programmi per bambini e ragazzi), venivano date istruzioni precise su quando premere l’interruttore sul retro della spilla (perché questo era in fin dei conti), che andava dunque accesa (anzi, andava “messa in posizione TV”, dato che spostando l’interruttore su “ON” la spilla si sarebbe illuminata a prescindere) in corrispondenza di un segnale acustico: se durante quel “bip” alla vostra spilla si fossero illuminati gli occhi e avesse riprodotto il motivetto del videogioco di Sonic voi sareste stati i fortunati vincitori. Cosa avreste vinto? Un’altra console SEGA, un sistema karaoke o una delle cassette in palio (quali fossero non è dato saperlo). Ma se anche la vostra spilla non si fosse rivelata vincente, nessun problema: avreste comunque potuto partecipare all’estrazione dei favolosi premi inviando il tagliando presente sulla confezione del simpatico gadget.

Fin qui apparentemente tutto okay: spesa minima, incentivo all’acquisto per avere più possibilità, estrazione a sorte casuale, fidelizzazione del pubblico (come se gli spazi pubblicitari dedicati fossero pochi e poco seguiti). Milioni di bambini incollati agli schermi di tutta Italia per non perdersi nemmeno un secondo di programma, pena il rischio di perdere l’occasione vincente. Giochi Preziosi vende parecchio (mesi prima del periodo natalizio), le reti private fanno audience: connubio perfetto. Se poi ci si ferma un secondo a riflettere ci si accorge di una cosa, un piccolo dettaglio fondamentale: come funziona questa Sonic Badge? Sulla base di quanto e come ci viene detto sembra che tutte le spille possedessero dei diversi sensori per gli “impulsi elettronici del televisore” (così dice il materiale promozionale) che sarebbero stati codificati e mandati in onda insieme al segnale normale delle trasmissioni sponsorizzate. Quindi, stando a ciò, il tubo catodico del televisore avrebbe non solo proiettato delle immagini e dei suoni bensì avrebbe emesso il suddetto impulso (impulso che, secondo la logica, sarebbe dovuto essere compatibile con tutte le TV perché qualsiasi apparecchio sarebbe stato in grado di riceverlo e trasmetterlo). E già qui sarebbe dovuto suonare un campanello d’allarme vista la surrealità tecnica della cosa. Okay, ammettiamo che l’impulso in realtà fosse un particolare colore o suono: anche in questo scenario si sarebbero posti due problemi: il primo è che non essendo tutti i televisori uguali non tutti sarebbero stati capaci di riprodurre delle certe frequenze sonore o di colore. In secondo luogo, l’altro problema sarebbe stato che, essendo questo segnale riproducibile e molto generico, i sensori nelle spille sarebbero potuti essere attivati anche casualmente da altri segnali (che si sarebbero comportati da “interferenze” e falsi positivi).

Il trucco spilla-soldi

Questi discorsi (probabilmente più articolati) furono sicuramente alla base delle accuse di pubblicità ingannevole e concorrenza sleale (forse avanzate da GiG che, naturalmente, nega ad oggi l’accaduto) che portarono l’azienda a sospendere prematuramente la campagna. E sebbene l’azienda di Cogliate abbia per anni affermato fermamente che fosse un’operazione lecita, in realtà le cose non stanno così. Dopo due decenni di teorie, un volenteroso e coraggioso membro del gruppo Facebook “UniversoRetrogame” ha deciso nel marzo 2021 di scoperchiare il vaso di Pandora svelandone i mistici segreti.

Ecco svelata la “magia”.

Come si evince dall’immagine, la spilla in realtà non contiene nessun microfono o sensore per rilevare il tanto decantato “impulso elettromagnetico” del concorso: solo un moschettone per fare peso, una batteria, un altoparlante e un circuito. Quello che differenzia le spille vincenti dalle altre risiede nel collegamento tra circuito, interruttore e batteria: se la vostra spilla fosse stata una di quella fortunate, allora sarebbe stato presente un ulteriore cavo (ovvero quello che collega la posizione TV dell’interruttore al circuito permettendo alla spilla di accendersi). In realtà, se anche fosse stati tra i possessori del gadget vincente, non è detto che, una volta accesa in modalità “TV”, la vostra spilla avrebbe davvero suonato. L’interruttore, infatti, non è altri che uno switch a tre posizioni: circuito chiuso (ON, spilla sempre accesa), circuito aperto (OFF, spilla spenta) e modalità casuale (TV, paragonabile vagamente all’accensione temporizzata delle luci di natale). In poche parole vi sareste potuti trovare con la spilla giusta al momento sbagliato (situazione credo non così improbabile dato che, ad oggi, nessun vincitore si è mai palesato, lasciando il dubbio che, forse forse, non sia nemmeno mai esistito un bambino con così tanto culo).

Morale della favola: operazione leggermente truffaldina interrotta poco dopo il suo inizio a causa di accuse di pubblicità ingannevole e concorrenza sleale (di vociferava che l’avversaria GiG avesse cospirato contro), con conseguenti perdite economiche da capogiro. Questo “piccolo” inconveniente costò a Giochi Preziosi la riduzione del budget destinato al reparto marketing di Sega e, in coincidenza del ritiro di Calà dalle scene a casa di un incidente (avvenuto nel 1994) e il termine degli altri contratti di sponsor, tutto ciò segnò il lento declino e la lenta scomparsa dell’azienda dal mercato del nostro paese. Basti pensare che nessuno oggi si ricorda delle pubblicità del SEGA MEGA-CD e del 32X (o trentadue per, come veniva pronunciato), venduti, tra l’altro, a prezzi non proprio modici (attorno alle 5/600 mila lire il primo, 380 mila il secondo). Sempre nel ’94 il direttore marketing Shigeru Hayashi lascia Sega of Europe e i rapporti con Giochi Preziosi cominciano a essere meno solidi. L’anno successivo esce la nuova console di casa Sega, il Saturn, ma le vendite ahimè non sono delle migliori (complice anche il budget pubblicitario sempre più ristretto). Insomma, il danno era stato fatto e non si poteva tornare indietro. Il resto lo abbiamo potuto vedere coi nostri occhi sugli scaffali (le poche volte che c’era) e sognato sulle riviste, forse un po’ complici anche noi con la nostra fetta di mercato del lento naufragio della storica azienda giapponese. La verità? Non potremo mai saperla (anche perché a detta dei dirigenti di SEGA dell’epoca non vi era nulla di sbagliato o truffaldino) ma sta di fatto che oggi, quel passato fatto di libidini possiamo solo ricordarlo con un sorriso. Io ora devo scappare, mi hanno appena citofonato cercando un certo Gigi. Al prossimo articolo, ciauz!

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